” L’isola di Elafonissos invade la mente come un sogno.
1997, ero poco più che bambina la prima volta che la vidi, la prima volta che me ne innamorai, e come tutte le prime volte è stato un caos visivo un’ overdose del bello, vivo con la convinzione che ognuno di noi debba avere un luogo dove ritrovarsi. Io ho avuto la fortuna di arrivarci senza cercarlo, un dono di genitori viaggiatori camperisti che, come il più bel regalo di compleanno desiderato, mi fecero scartare dentro un vento di meltemi, trovando al suo interno un paesaggio divino fatto di sfumature di blu, così blu che facevano male agli occhi, salsedine, sabbia bianca, ginepri di mare, ovunque mi girassi ricordo lo stupore di un incontro con la decadenza delle porte delle case, con pescatori dai visi solcati dal sole, le loro mani, o le loro barche da sistemare gelosamente e poi i frutti, la terra incontaminata , animali liberi, per me un sogno.
Se si vivesse solo di inizi, penserei a quell’odore continuamente. Passano gli anni, io bambina chiudo gli occhi e li riapro donna, tutto scorre, ma la costante sempre lei, l’isola che non c’è, diventa un desiderio familiare.
Per raggiungerla devi attraversare la terra degli Dèi ed arrivare nel più profondo sud del Peloponneso, proprio lì in mezzo agli ulivi.
É senza dubbio a mio avviso, uno dei gioielli più preziosi della Grecia, da vivere in libertà, scorci di mare indimenticabile in ogni parte, qualche centinaio di abitanti che diventano alcune migliaia nel cuore dell’estate: la calamita di Elafonissos è la spiaggia di Simos, una delle più scenografiche della Grecia. Due baie di acqua turchese separate da un piccolo istmo di sabbia e dune bianche dove crescono cardi dai fiori viola e gigli d’acqua, un paesaggio impressionista.
Un’isola da intenditori che cercano la semplicità perduta del Mediterraneo: gran pesce, gran mare, taverne bianche o blu, il molo, la chiesetta, retini da pesca, barche che fan da cornice all’immenso, gabbiani che ogni mattina urlano la fame, tartarughe di mare che si concedono un banchetto mattutino, grazie agli amici pescatori ed i canti dei grilli che fanno da sottofondo alle mie giornate. La strada dell’isola regala un’antologia di cespugli mediterranei ed un panorama che prepara gli occhi al Blu che ti circonda.
come si vive su un'isola greca?
Scorre tutto lentamente, non ci si abitua immediatamente al loro stile di vita, sigà-sigà, una filosofia , un mantra ormai quotidiano, venendo dalla frenesia di grandi città, ti accorgi di quanto conti poco il tempo, tanto da chiederti cosa sia, forse un mostro travestito da medico. Te ne rendi conto soprattutto quando hai bisogno di un idraulico o un elettricista, arrivano si, se li chiami, ma prima il bagno al mare, poi il pranzo in famiglia, un caffè al bar, all’inizio non mi capacitavo, ma poi ho capito, li devi chiamare oggi, per fare in modo che arrivino tra una settimana e ti vengono incontro con il sorriso che contraddistingue quasi tutti i loro visi, esclamando “una faccia una razza”e vorresti infuriarti, ma no come fai? Sono greci, sono fratelli e mi hanno insegnato a far mia questa calma.
Tutti sull’isola sfruttano il periodo estivo, la maggior parte dei ristoranti sono a conduzione di famiglie di pescatori che la mattina escono e la sera propongono ciò che l’acqua salata dona, è una vita semplice fatta di mare, di turismo senza troppe pretese, stanno iniziando ora a capire cosa significhi essere nati sotto un cielo cosi bello, nella meravigliosa terra in cui vivono, alcuni sono anche indispettiti e gelosi della loro isola nell’affluenza estiva, ma altri ne colgono la piccola fortuna.
L’inverno qui dura tre mesi, da gennaio a marzo, più che altro regala pioggia per ubriacare una terra arida, aiutando così anche il raccolto, ulivi milioni di ulivi inebriano l’aria sbronzi di scrosci d’acqua.
Quasi tutti gli isolani hanno la loro terra da coltivare, ed ogni mattina s’improvvisano venditori ambulanti di frutta e verdura fresca e si confondono nelle vie, insieme a signore che propongono lunghi abiti di cotone ed un camioncino che urla le promozioni di fine serie di sedie in vimini, nei dedali di strade che sanno di bucato e giochi di bimbi.
Osservare e fotografare è ciò che amo fare nel mio tempo libero: le donne isolane la mattina entrano in quel mare che fu madre, vestite con i loro abiti scuri e quei cappelli per proteggersi dal sole e la domenica vanno in chiesa a cantare e pregare, seguendo le litanie che si propagano per tutta l’isola, quasi ipnotizzate, escono con il loro vestito migliore e attraversano il pittoresco ponte per entrare in Agyos Spyridon, divenuta ormai simbolo, si scambiano segni di pace per poi, una volta fuori, litigare per un vaso fuori posto, fuori luogo, quanto le amo quando con un sorriso si avvicinano offrendomi un fico appena raccolto, un melograno ed io che avvicino le mani in segno di fedele ringraziamento. Ora sono tutti gentili con noi, ma non lo sono stati all’inizio, eravamo visti come forestieri che volevano marcare un territorio, non è stato facile guadagnare la loro fiducia ed il loro sorriso ospitale che ora ci donano insieme ai loro inviti ai matrimoni, che meraviglia le danze di queste occasioni, non me ne perdo uno, mi fa sentire parte della comunità, accettata come un lupo forestiero in mezzo al branco, tutti ballano dal più piccolo al più grande con un’eleganza ed un carisma invidiabile.
Se non sono fuori a pescare o nei loro piccoli cortili a sbrigliare con maestosa pazienza nodi di reti da pesca, gli uomini li trovi nelle taverne che giocano alternando entusiasmo, chiasso e meditazione al Tavli, con nell’aria profumo di Ouzo, fumo e caffè, passano così il tempo soprattutto d’inverno, nell’unico kafenion aperto, si tengono compagnia mentre il vento pervade la sera, apparentemente sembra sempre che stiano litigando tra loro, ma hanno solo un modo di comunicare molto forte, rispetto al solo nostro gesticolare.
I bambini di oggi girano tutto il giorno scalzi come gatti randagi di giochi, correndo per le vie trovi la scuola, l’unica del villaggio, ci sono poche classi, vanno dalla prima elementare alla prima ginnasio sull’isola, mentre i restanti due si spostano nella vicina Neapolis, prendono il traghetto alle 7,30 del mattino e se il tempo non lo permette si torna tutti felici a casa, la maggior parte degli isolani che ne hanno la possibilità, affitta case per far in modo che i figli continuino gli studi nel doposcuola a Neapolis, tanto che le scuole private sono molto diffuse o nei licei ed università di Atene.
I bambini di ieri invece, sono stati meno fortunati, si alzavano alle 5 del mattino, dai loro racconti camminavano nel fango per arrivare alla barchetta che li avrebbe portati al paesino di Viglafia, tra gli odori forti dei vestiti delle donne che raccoglievano cipolle e quello di nafta degli uomini che caricavano bagagli vecchi, arrivavano a scuola fradici, profumando di sigarette di operai che condividevano il viaggio con loro.
Ciò che potrebbe creare disturbo nei periodi invernali sono appunto i traghetti che non partono se Eolo non lo permette e ti senti un pò chiuso, un pò Baudelaire che guarda la tempesta dalla finestra blu della sua casa in riva al mare ed immagino come potrebbe essere stata in un tempo lontano la vita sull’isola, da quando isola è, da quando si è staccata dalla terraferma, per questo nella mia utopistica mente la definisco l’isola che non c’è, perché realmente non c’era, ma lo diventò per suo fortuito volere, come un miraggio nel deserto, una fata morgana.
I ragazzi di Elafonissos sono per la maggior parte fuori a studiare nelle grandi città, ma tornano quasi tutti fedeli nei mesi estivi, quelli che rimangono aiutano le famiglie con le varie attività stagionali, alcuni di loro quel mare non lo hanno mai lasciato.
Il giovedì è sacro per me, c’è il mercato a Neapolis e si va quasi tutti a prendere l’acqua dalla fonte, essendo quella di tutta l’isola salmastra nei mesi estivi, mentre d’inverno torna tutto al ritmo naturale. Il periodo che amo particolarmente vivere è la primavera o la calma di fine estate, dove il sole non è forte, il vento ti è amico ed il sigà-sigà diventa una devozione con il riposo.
Galline, tacchini, pecore, agnelli, oche, cani, tutti convivono in questo territorio, ma quelli più liberi sono i gatti, che hanno ormai fatto colonia. Quasi tutti hanno i loro animali, quasi tutti hanno di che sfamarsi e li trovi a passeggiare in riva al mare mentre da un albero raccolgo limoni che sanno di limone cosi forte che inumidisco sempre i miei polsi per far invidia all’ultimo profumo di Chanel e poi i melograni, i fichi, le distese di zucche ad ottobre, i pomodori tutto l’anno, la mia vicina che produce la feta con il suo latte di pecora e l’olio, l’elisir d’oro che quasi tutti creano, plasmando con armoniosa arte antica le loro olive.
Vivendo in un’isola vado anche io con le stagioni, è una vita semplice, pulita, una scelta di non aver di più di quello che ti basta, ci sono delle piccole botteghe, tutte aperte nei mesi di alta stagione, dove puoi trovare di tutto, ma l’isolano non ne ha bisogno, ha già tutto.
Un’unica pasticceria dove una simpatica signora cucina con amore i suoi dolci tipici al miele, due panifici, una farmacia ed un presidio medico per il primo soccorso, perché se ci fosse bisogno di qualcosa di più si va a Sparta e chi non andrebbe in ospedale a Sparta? Fa così guerra che te l’immagini i medici ancora tutti alti, muscolosi, sporchi che ti gridano “questa è Sparta!!!”
La vita su un’isola greca è piena di ciò che per qualcuno è niente, ma per me è tutto.
Sono Fra, ho 30+5 anni, cittadina del mondo di razza umana, vivo d’arte e gestisco
Il vecchio Frantoio ad Elafonissos.